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Windows 10 EOL: il conto salato dell’immobilismo e la corsa a Windows 11

Dario Fadda 1 Settembre 2025

Il 14 ottobre 2025 non è una data qualsiasi. È il giorno in cui Microsoft spegnerà i server degli aggiornamenti di sicurezza per Windows 10. Per molti, soprattutto nel mondo enterprise, questa scadenza è un lontano fastidio amministrativo. Per gli esperti di cybersecurity, è un’emergenza nazionale in attesa di verificarsi.

Una ricerca commissionata da Panasonic TOUGHBOOK su 200 decision-maker IT nel Regno Unito e in Germania dipinge un quadro allarmante: quasi la metà (47%) delle organizzazioni indica la compatibilità del software business come la sfida principale per la migrazione. Non stiamo parlando di un semplice aggiornamento del sistema operativo, ma di una riconfigurazione totale dell’ecosistema digitale aziendale. Il che significa che per due terzi dei dispositivi (62% in media) l’unica opzione praticabile non è un upgrade, ma una sostituzione hardware completa.

Il vero pericolo, però, non è il costo della migrazione, ma il costo dell’inerzia. Restare su Windows 10 dopo la EOL significa volontariamente esporre la propria infrastruttura a vulnerabilità critiche, ransomware e violazioni dei dati. Per i settori critici come le utility, i servizi di emergenza e le infrastrutture nazionali—il core dei clienti TOUGHBOOK—questa non è una seccatura finanziaria, ma un rischio operativo esistenziale. Immaginate un attore malevolo che sfrutta una zero-day su un sistema di controllo industriale non patchato per interrompere l’erogazione di energia o acqua: il risultato è un’emergenza nazionale.

Microsoft offre una via di fuga, ma è una trappola per costi esponenziali: gli Extended Security Updates (ESU). Questo programma è una soluzione tampone, una subscription annuale per dispositivo che fornisce solo aggiornamenti di sicurezza critici, senza nuovi feature update. Il prezzo raddoppia ogni anno per un massimo di tre anni. Per un’azienda con 1000 dispositivi, si stima che questo si traduca in oltre 340.000 sterline di spesa non preventivata—soldi buttati per mitigare un rischio invece di investire in innovazione.

La ricerca rivela che il 98% delle organizzazioni è propenso, in qualche misura, a pagare questo pizzo digitale pur di procrastinare l’inevitabile. È una testimonianza di una “paralisi decisionale” che sta affliggendo i CISO: il timore della disruption operativa supera la percezione del rischio cyber. Ma i dati sono chiari: il 94% dei decision-maker è preoccupato dall’aumento dell’esposizione a malware e ransomware, e il 62% è estremamente preoccupato.

Oltre al rischio security, pesa lo spettro della non-compliance. Settori iper-regolamentati dovranno affrontare multe salatissime e danni reputazionali irreparabili se trovati operare con sistemi non supportati. Senza dimenticare il lento declino prestazionale: i tool di collaborazione moderni perderanno supporto, i tempi di boot si allungheranno e i volumi di chiamate all’helpdesk schizzeranno alle stelle a causa di instabilità e incompatibilità.

C’è però una luce in fondo al tunnel, e ha a che fare con l’intelligenza artificiale. Un terzo delle organizzazioni (34%) vede nella migrazione a Windows 11 l’opportunità di sfruttare feature AI native come Microsoft Copilot o Bing AI. Un altro 29% punta a implementare capacità di edge AI direttamente sul campo, sgravando il cloud e processando i dati in tempo reale dove vengono generati. Questo non è un upgrade minore: è un cambio di paradigma che abilita una produttività radicalmente nuova per i field worker.

La migrazione, quindi, non è più solo una questione di security. È una scelta strategica. Chi migra per tempo può pianificare test approfonditi sulle applicazioni mission-critical, formare il personale e evitare il collo di bottiglia delle risorse IT che si creerà inevitabilmente nell’estate del 2025, quando tutti cercheranno di migrare in fretta e furia.

La finestra per agire si sta chiudendo. Il conto da pagare per rimanere su Windows 10 è reale, misurabile e cresce ogni trimestre. Il vero rischio non è migrare, ma non migrare in tempo.

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