Grandi quantità di dati esfiltrati da una delle più importanti banche svizzere, fanno emergere importanti inchieste su grossi collegamenti tra i fondi depositati nelle casse svizzere e la malavita mondiale.
I dati trapelati arrivano da un leak di Credit Suisse che risale a circa un anno fa operato da una fonte anonima. La diffusione, in questo arco temporale fino a oggi, è stata garantita da un’operazione congiunta, appunto Suisse Secrets, che ha coinvolto più di 163 giornalisti, 48 organi di stampa, dislocati in 39 paesi del mondo.
Credit Suisse, il secondo istituto di credito svizzero, sotto la lente protettiva della privacy, ha operato decenni di benessere economico dei propri clienti a qualsiasi costo. Clienti di qualsiasi profilo ed estrazione sociale, con soldi da mettere al riparo. La fuga di dati include più di 18.000 conti conti correnti, 30.000 titolari (tra persone fisiche, cointestazioni e aziende).
E’ chiaro che alla base di questa maxi inchiesta ci sia la grande consapevolezza che non sia vietato per nessuno avere un conto in Svizzera. Allo stesso modo però emerge una grande falla normativa che allarga le maglie ai controlli sull’adeguata verifica della clientela. Operazione fondamentale e non subordinabile, per nessuno, tanto meno in caso di Persone Politicamente Esposte (che non sono i politici). A quanto pare dagli anni ’40 fino al decennio che stiamo vivendo, per Credit Suisse, la pratica non era così ovvia.
Il databreach è stato diffuso unicamente dietro questa grande inchiesta globale. Il collettivo OCCRP (con tutti i partner sul caso) ha analizzato il dato grezzo e ne ha estratto le informazioni maggiormente rilevanti ai fini giornalistici e di inchiesta. Non si espone, al momento, il dato del singolo titolare fine a sé stesso. Non sarebbe responsabile e avrebbe unicamente una condotta criminale. Si espongono dati che sono interessanti per il sapere collettivo, inerenti a cause in corso o già terminate, titolari collegati a grandi problemi di giustizia nel campo del terrorismo, della frode, del riciclaggio e dello spionaggio.
Differente è invece il rischio di perdita di questi dati, nei passaggi precedenti all’analisi. Se dovessero venir pubblicati i dati grezzi, sarebbe un danno individuale per tutti i clienti interessati da questo istituto di credito, per un periodo di tempo estremamente lungo.
E l’Italia?
Non ci si fa mancare niente e il nostro Paese, indirettamente, compare grazie alla presenza in città del Vaticano del caso Giovanni Angelo Becciu. Facile ricordare questo nome, infatti, per il caso che l’ha visto, sotto il papato di Francesco, accusato di abuso d’ufficio, appropriazione indebita e riciclaggio di denaro. Sarebbero spariti 350 milioni di euro di fondi della chiesa in un’impresa immobiliare londinese piena di scandali, e sempre Becciu avrebbe devoluto fondi vaticani nelle attività dei suoi fratelli in Sardegna.
Lo ritroviamo qui, all’interno dei Suisse Secrets, titolare di un conto aziendale Credit Suisse insieme alla Segreteria di Stato della Santa Sede e altre tre persone, con un saldo di 242.609.433 euro nei periodi di massima capienza.
Pochi controlli sull’operatività
Essendo seconda in tutta la Svizzera solamente a UBS, Credit Suisse, non è una piccola banca cooperativa di provincia. Ad ogni modo, nonostante il rigore pubblicizzato dall’azienda nel controllo della clientela, sembra siano sfuggiti di mano molti nomi presenti in qualsiasi database “crime”. Un esempio può essere il caso di Rodoljub Radulović, un truffatore azionario serbo incriminato nel 2001 dalla US Securities and Exchange Commission, ospitato dalla banca come correntista da oltre 3 milioni di franchi svizzeri, fino al 2010.
Altri 54 milioni di franchi svizzeri sono risultati per anni a nome del cliente tedesco Eduard Seidel, condannato per corruzione nel 2008. Ex dipendente Siemens che ha confessato i suoi piani particolarmente remunerativi.
Anche Stefan Sederholm, un tecnico informatico svedese ha aperto un conto presso Credit Suisse nel 2008. Peccato che nel 2009 sia stato incriminato per traffico di esseri umani nelle Filippine (dove viveva) ed è stato condannato all’ergastolo. Il suo conto, mai congelato, da 220.197 euro è stato chiuso solo nel 2013 perché non si riusciva più ad ottenere documentazione aggiornata sul titolare.
Nell’immagine che riporto in basso, trovate i nomi che l’inchiesta considera i top player di questa triste raccolta:
Alla luce di tutto questo, e di tutto ciò che ancora verrà fuori con questa inchiesta, dall’impatto globale, faccio solo un’unica riflessione: come si fa a combattere il crimine, il terrorismo, le frodi (fiscali, tributarie, azionarie) se i condannati o tutti gli interessati, vengono lasciati liberi di agire con il proprio denaro, in qualunque parte del mondo si trovino, anziché interdetti? Penso che in questa maniera il crimine stesso venga solamente alimentato.